Berlusconi in Campania e Sicilia tifa Ingroia contro Bersani

di Riccardo Galli
Pubblicato il 15 Gennaio 2013 - 16:19 OLTRE 6 MESI FA
Silvio Berlusconi scherza con l’ex pm Antonio Ingroia negli studi di La7

ROMA – Silvio Berlusconi tifa per Antonio Ingroia, almeno in Campania e Sicilia. I casi della vita sono a volte davvero sconcertanti e quest’affermazione, che sino a poche settimane fa apparteneva al regno dell’impossibile, è diventata ora realtà. Il Cavaliere, che incontrando Ingroia negli studi del La7 lo ha salutato mostrando i polsi da ammanettare, tifa e tiferà “Rivoluzione Civile” nelle du Regioni del Sud e un po’ anche nella casalinga Lombardia perché l’ex pm che “faceva paura a pensar come indagasse” faccia lo sgambetto a Pierluigi Bersani. Gli porti via, cioè, quei voti necessari al Pd per avere almeno uno straccio di maggioranza anche al Senato.

Gli porti via quei voti conquistandoli per sé e per il suo movimento Rivoluzione Civile e regalando così, più o meno involontariamente, la vittoria al Pdl. Vittoria non di governo per carità, la maggioranza del centrosinistra alla Camera non sembra in discussione, ma vittoria “di regione” che significa nessuna maggioranza al Senato. Cioè la sconfitta del Pd. Spieghiamola questa cosa del Senato: in ogni Regione chi prende più voti prende anche circa il 60 per cento dei posti da senatore che quella Regione assegna. A chi va il restante 40% dei posti da senatore? Al secondo arrivato, se il secondo arrivato è solo e non c’è un terzo e un quarto…Comunque “arrivati”. E che vuol dire arrivati? Vuol dire che hanno raccolto almeno l’otto per cento dei voti. Insomma il secondo arrivato spartisce il 40 per cento dei posti da senatore con tutti quelli che superano l’otto per cento dei voti raccolti. E Ingroia che a livello nazionale sta più o meno al 5 per cento, in  Sicilia e Campania sta sopra il 10 e all’otto fa il solletico in Lombardia. Quindi, se Bersani spartisce senatori con lui, Bersani perde.

Chissà se avrà riflettuto il Cavaliere sulla singolarità del fatto di ritrovarsi tra i “tifosi” dell’ex pm antimafia. Se qualcuno glielo avesse raccontato non ci avrebbe probabilmente creduto. Ma sono ora Bersani e i suoi ad aver paura di Ingroia. Una paura tale da far saltar fuori l’ipotesi di un accordo di desistenza in alcune Regioni chiave per il Senato. Ipotesi smentita così così e ipotesi bocciata da Leoluca Orlando e Luigi De Magistris, rimandata da Ingroia e sposata invece da Antonio Di Pietro. Il Partito democratico, leggendo i sondaggi, comincia infatti a temere il realizzarsi dello scenario peggiore: quello in cui si ritroverebbe senza maggioranza al Senato. Il Pd, è vero, è ancora dato sopra al 30%, 37 per cento tutta la coalizione, ma l’alleanza del Cavaliere, la coalizione della destra  è in crescita al 27 e promette di arrivare al 30 per cento. L’area Monti ha bascula intornoal 15% e l’alleato Vendola perde voti a favore proprio di Ingroia.

Il rischio quindi è che il Pd non riesca a conquistare il premio di maggioranza in almeno due regioni chiave, Campania e Sicilia, dove il movimento di Ingroia è particolarmente forte grazie a due leader locali come Orlando e De Magistris. I sondaggi danno Rivoluzione Civile attorno all’8%, una percentuale che gli consentirebbe di superare la soglia di sbarramento per il Senato e che eroderebbe quel tanto che basta i voti del Pd regalando vittoria, e premio di maggioranza, a qualcun altro. Verosimilmente Silvio Berlusconi.

Un bel problema per il Pd che ha rifiutato l’ingresso agli Arancioni nella coalizione di centrosinistra e che ora si ritrova nella condizione di dover chiedere. Farsi male tra “amici” appare una follia ma, seppur raccontata in lungo e in largo, l’idea di un patto di desistenza come quello del ’96 è pura fantapolitica. Fantapolitica perché 16 anni fa c’era un’altra legge elettorale, con i collegi uninominali, che permise ad Ulivo e Rifondazione Comunista di siglare quel patto che  consentì loro di non togliersi voti a vicenda ma senza “cancellarsi” di fatto dalle liste.

Oggi, con il Porcellum, se davvero Ingroia decidesse di non mettere i bastoni tra le ruote al Pd al Senato, dovrebbe chiamarsi fuori proprio dalle uniche regioni dove può sperare di superare con uno slancio la soglia di sbarramento. Rinunciando quindi ad avere una rappresentanza a palazzo Madama.

D’altra parte è anche vero, fanno notare da casa Pd, che i Rosso-Arancioni hanno ottime possibilità di entrare alla Camera e scarsissime di entrare al Senato anche senza accordo. Ma che senza accordo, con una campagna dei democratici sul richiamo al voto utile, rischierebbero di perdere molti consensi anche per Montecitorio. Uno scontro che sarebbe quindi meglio evitare e uno scontro in cui entrambi gli attori hanno molto da perdere. Sarà dura però convincere Orlando e De Magistris a fare un passo indietro nelle loro due regioni. Per una volta quello più diplomatico sembra essere Di Pietro, ennesimo paradosso nella paradossale di vicenda che vede Silvio Berlusconi seduto a fare il tifo per Antonio Ingroia.

Ma insomma Ingroia e Bersani alla fine faranno o no un patto? L’ultima parola di Ingroia è stata “Parliamone”. Sembra un’apertura ma in realtà non lo è perché Ingroia aggiunge che se la sinistra, quindi solo Pd, Sel e Rivoluzione Civile non avessero la maggioranza per far da soli, l’unica sarebbe rivotare di nuovo, aggiunge ancora che per il patto vorrebbe posti in Senato di quantità e qualità di vera sinistra per il suo movimento-partito e “assicurazioni e garanzie di programma” da Bersani e aggiunge ancora di non temere l’argomento del “voto utile” ventilando l’inutilità del voto al Pd senza quelli di Rivoluzione Civile. Più che una piattaforma per un accordo, una requisitoria che intima la resa. Berlusconi almeno per ora può continuare a tifare per Ingroia, almeno in Campania e Sicilia.