Roma, “casa dei cortei” e casino dei diritti

di Emiliano Condò
Pubblicato il 11 Dicembre 2009 - 16:51 OLTRE 6 MESI FA

Manifestanti in piazza per il no B day

E’ possibile razionare, quindi spesso vietare, le manifestazioni di piazza e i cortei a Roma? Risposta: vietare non si può, quindi razionare nemmeno. Perchè nessuno si assume la responsabilità di rispondere alla domanda: chi raziona chi? E’ possibile vivere, non diciamo lavorare, in una città con due manifestazioni al giorno che la bloccano? Risposta: no. O almeno non è vita, è soltanto sopravvivenza.

Roma, la città eterna. Almeno per gli spostamenti. Qui muoversi diventa una pretesa assurda, la capitale si trasforma in un “motore immobile” di aristotelica memoria. Succede da sempre, succede più come prima, più di prima. E’ una storia infinita in cui i “buoni” non ci sono, non arrivano mai. I sindaci ci provano, ma riescono solo nel “vorrei ma non posso”. I responsabili dell’ordine pubblico hanno un solo comandamento: evitare incidenti. Se il prezzo da pagare è un blocco stradale, allora lo pagano, pare loro un buon prezzo. I sindacati difendono il loro spazio legittimo e hanno un alibi: solo la metà delle manifestazioni hanno il loro marchio. Fin qui le varie e diverse autorità che tutte, più o meno, hanno le “mani legate” e poca voglia di sciogliersele.

Poi ci sono i “soggetti sociali”, quelli che manifestano. Tutti, basta essere in cinquanta e ci si prende un pezzo di città. Nessuno che abbia il coraggio civile di dire: in cinquanta sali su un marciapiede con il tuo cartello, ti fai vedere, manifesti ma non blocchi mezzi pubblici e auto private.

Solo nell’ultima settimana, tra cortei, sit in e altre forme di protesta Roma si è bloccata una quindicina di volte. Questo nonostante esista un “protocollo”, firmato da sindaco e questore, che, almeno sulla carta, mette dei paletti più rigidi al diritto di manifestare. Ma quello di sindaco di Roma è un mestiere tra i più difficili al mondo, e Gianni Alemanno, in carica dal 2008 e primo sindaco ex missino della storia dell’Italia Repubblicana,  se ne sta accorgendo suo malgrado.

Alemanno, che deve la sua elezione alle promesse su sicurezza e mobilità si è mosso subito,  a modo suo e con piglio decisionista. Prima di lui era toccato a Rutelli e Veltroni, due che agli automobilisti di soddisfazioni ne hanno regalate poche: strisce blu, ztl e lavori per i nuovi mezzi pubblici. E sui cortei? Poco, anzi nulla. E non perché i due fossero di “sinistra”, il problema è un altro: storico, strutturale, urbanistico e forse irrisolvibile.

Il prefetto Giuseppe Pecoraro e Gianni Alemanno

A marzo Alemanno si è seduto al tavolo con il prefetto Giuseppe Pecoraro e ne è uscito un protocollo, sei cartelle di cui due dedicate alle firme delle associazioni interessate, che avrebbe dovuto dare una stretta alle manifestazioni nella capitale. Regole sulla carta semplici: con l’eccezione dei grandi eventi il Comune stabilisce dove si può sfilare in corteo e con che frequenza. Nel protocollo si individuano sei percorsi, compreso il gettonatissimo piazza della Repubblica –Piazza San Giovanni e i luoghi autorizzati per i sit in. Non solo: ogni associazione si impegna a non chiedere spazio più di una volta al mese e Comune e Prefettura, dal canto loro, si impegnano a snellire le procedure per la concessione del suolo pubblico. È il 10 marzo, firmano tutti i sindacati e quasi tutti i partiti. Problema risolto? Assolutamente no.

Nei fatti il documento si è mostrato un colabrodo. E a leggerlo con attenzione il protocollo contiene nelle prime righe una sorta di dichiarazione di impotenza: “Roma Capitale sarà sempre interessata inevitabilmente da manifestazioni di diverso tipo” e “non è prevedibile nessun tipo di diminuzione del fenomeno”. Ovvero si è protocollato e firmato il nulla. E infatti le manifestazioni non calano. Anzi. Basti pensare agli ultimi giorni: sabato 5 dicembre il No-B Day, giovedì 10 sciopero e corteo dei lavoratori della cantieristica navale e sit in “improvvisato” al Circo Massimo per il diritto alla casa; a Montecitorio, nello stesso giorno, sfilata di 500 sindaci (compreso Alemanno)  e a piazza Santi Apostoli, manifestazione di protesta delle guide turistiche. Venerdì 11 va anche peggio, le manifestazioni sono due, ma di quelle grandi in grado di paralizzare la città: da un lato c’è sciopero del pubblico impiego e del settore della conoscenza  della Cgil con circa 100.000 persone in piazza, dall’altro gli studenti che, oltre che contro i tagli, protestano anche contro le limitazioni del protocollo. Per la cronaca: a ottobre si era parlato di limitare ulteriormente le manifestazioni: non più di una al giorno, si era detto. Appunto.

Da sabato 12 dicembre fino al 12 gennaio, assicurano Comune e questura, sarà tregua. La chiamano “moratoria di Natale”: un mese senza manifestazioni perché durante le festività Roma va in tilt da sola, senza bisogno dell’aiuto dei cortei. In assenza di soluzioni strutturali ci si accontenta di un palliativo.  Ma a differenza di marzo, sulla tregua non c’è nemmeno l’accordo. Stavolta l’asse questore sindaco ha raccolto solo l’adesione del centro destra e parte dei sindacati mentre Cgil e Pd non hanno firmato. La Costituzione, poi,  lo dice a chiare lettere: tutti hanno il diritto di manifestare, se vogliono, anche il giorno di Natale. Ordinanze e protocolli dunque difficilmente possono costituire una soluzione di lungo periodo. Anche perché Roma rimane una capitale atipica: decentramento nullo, rete di servizi pubblici insufficiente, strade strette e viabilità costantemente ai limiti del collasso anche nel tempo ordinario. Una metropoli europea dove basta, come accaduto sempre venerdì 11, che il presidente del Vietnam  visiti l’Altare della Patria, per paralizzare il centro.

Ma chi manifesta a Roma? Il problema è proprio questo, tutti. Non solo i sindacati ma qualsiasi associazione. Spiegano dalla Uil che i dati della questura sono chiari: “Dei cortei organizzati a Roma, solo la metà riguardano i sindacati”.

A metà novembre dei conti che rendano un’idea li ha fatti il Codacons: nella capitale, secondo lo studio dell’associazione di consumatori, gli automobilisti perdono in fila 11 giorni l’anno.  Le sfilate, a passo d’uomo, le fanno senza volerlo, tutti i romani che tentano di andare al lavoro.