Siria, che fare? Kupchan: il migliore intervento Usa è il non intervento

di Redazione Blitz
Pubblicato il 26 Agosto 2013 - 13:54 OLTRE 6 MESI FA
Siria, che fare? Kupchan: il migliore intervento Usa è il non intervento

Siria, Ghouta: cadaveri di bambini, vittime presunte di armi chimiche (Erbin News-NurPhoto-LaPresse)

ROMA – In Siria il migliore intervento possibile è il non intervento. Lo dice, intervistato da Alix Van Buren per Repubblica, Charles Kupchan, esperto di strategia e di politica estera americana al Council on Foreign Relation e docente di Affari internazionali alla Georgetown University.

Secondo Kupchan dei ribelli non ci si può fidare. L’esperto è d’accordo con Obama quando afferma che “Non si deve esagerare la capacità dell’America nel risolvere i complessi problemi in Siria

“Certe volte non far nulla, l’astenersi dall’azione, è la scelta politica migliore. Questo potrebbe applicarsi alla Siria, per quanto sia frustrante alla luce di tanta sofferenza”.

Secondo l’esperto non è stato ancora provato l’uso di armi chimiche da parte del governo siriano, uso che giustificherebbe un’azione militare degli Stati Uniti, con o senza alleati. Tuttavia Kupchan pensa se si sta parlando tanto di intervento Usa è perché la stessa amministrazione Obama ci sta pensando, messa sotto pressione anche dal caos in Egitto. Nel caso di un attacco alla Siria, ovvero ad Assad, le scelte sono due:

Una rappresaglia “leggera”, contro obiettivi legati al lancio delle armi chimiche — installazioni di missili, unità militari, senza però colpire i depositi di agenti tossici. Questo invierebbe un messaggio al regime di Damasco, che non può agire con impunità”

Oppure l’alternativa è

“[…] quella “pesante”, che prende a modello l’operazione in Kosovo. Sotto il profilo diplomatico è un’alternativa efficace: permette di bypassare l’Onu e il veto russo. Permetterebbe di colpire l’intera infrastruttura militare del regime, la catena di comando, l’aviazione, gli aeroporti. Precipiterebbe l’inizio della fine del regime. Però, comporterebbe gravi rischi e in più sul terreno non funzionerebbe […] L’America verrebbe coinvolta più pesantemente nel conflitto, si espanderebbero il caos e la perdita di vite umane. Inoltre, a differenza del Kosovo, o della Libia e dell’Afghanistan dove la Nato poteva coordinarsi con una forza locale organizzata a terra, in Siria questo non c’è. L’opposizione è frammentata. Peggio: se Assad cadrà, nessuno sa chi né che cosa lo sostituirà”.

Eppure secondo Kupchan non bastano due anni e mezzo di conflitto, 130 mila morti e il 40% dei siriani profughi. L’esperto ammette che si tratta di “un disastro umanitario”, ma

l’indebolimento della Siria è un risultato che la comunità internazionale è pronta ad accettare. Alla base c’è il timore che le conseguenze di un intervento militare in una guerra civile prolungata possano rivelarsi ancora peggiori. In Iraq, Afghanistan, Libia molte vite sono state perse, con scarsi risultati positivi. Bengasi era la base dell’opposizione sostenuta dall’America, e proprio lì sono stati assassinati i nostri diplomatici […]

La riluttanza di Obama non deriva da un’incapacità di intervenire. Al contrario, rispecchia la precisa volontà di non farlo. Volendo, lui potrebbe agire oggi stesso. Non è escluso che entro l’anno lo faccia in Iran. Riguardo alla Siria, manca una risposta alla domanda del “cosa possiamo fare?”. Perciò, anziché far peggio, a volte è meglio far niente”.