Marco Travaglio. Nuovo Senato di Renzi salva dalla galera meglio che latitante

Pubblicato il 29 Giugno 2014 - 09:31 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio. Nuovo Senato di Renzi salva dalla galera meglio che latitante

Marco Travaglio. Il nuovo Senato di Renzi salva dalla galera i compagnucci incriminati,meglio senatore che latitante

ROMA – Marco Travaglio mette un punto fermo sul

“giallo dell’immunità ai senatori non più eletti”.

Chi la vuole, chi ha ispirato l’emendamento di Anna Finocchiaro del Pd e Roberto Calderoli della Lega per conservare l’immunità ai senatori del nuovo Senato di Matteo Renzi?

Tutti, Matteo Renzi in testa. E Maria Elena Boschi, il ministro che ha vistato l’emendamento a sua insaputa, ha detto una bugia quando ha negato di saperne qualcosa.

Il giallo, quindi, scrive Marco Travaglio,

“è dunque risolto: nel progetto originario del Governo di Matteo Renzi non c’era; poi il 17 giugno – fa sapere Palazzo Chigi, dopo le nostre ripetute insistenze – il premier incontrò una delegazione di senatori Pd che la chiesero a gran voce; allora il Rottamatore divenne Restauratore e diede l’ok al ripristino dello scudo impunitario.

Che infatti si tramutò immantinente in emendamento firmato da Finocchiaro&Calderoli, relatori in commissione Affari costituzionali, che intanto avevano raccolto l’unanime analoga richiesta degli altri partiti favorevoli al Senato non elettivo (Ncd, FI, Lega e centrini).

Emendamento approvato per ben due volte via email il giorno 19 dal ministero delle Riforme guidato da Maria Elena Boschi. Il 21 giugno il lieto evento apparve sui giornali. E il 22 la bella addormentata nei Boschi dichiarò a Repubblica che era tutta colpa dei partiti, mentre lei e il Governo tutto erano contrari.

Una bugia bella a buona, visto che sia Renzi sia lei avevano avallato il ripristino dell’immunità.

Finocchiaro e Calderoli, rimasti col cerino acceso in mano, si ribellarono e dissero che erano tutti d’accordo – partiti e Governo –, precisando di essersi limitati a fare i notai della suprema volontà della maggioranza delle riforme, cioè della somma di quella del Governo più FI e Lega (esclusi una dozzina di dissidenti del Pd).

Apriti cielo, fuggi-fuggi generale: a parole, tutti i partiti favorevoli divennero contrari.

Nei fatti, pur potendo cancellare l’emendamento Calderoli-Finocchiaro, si guardarono bene dal farlo. La solita fiera del tartufo. Tant’è l’immunità rimane scritta a caratteri aurei nel testo che il Senato inizierà a votare a metà luglio. L’unica differenza rispetto all’attuale articolo 68 della Costituzione è l’annuncio che a votare l’autorizzazione agli arresti, alle intercettazioni e alle perquisizioni dei parlamentari non saranno più Camera e Senato, ma la Corte costituzionale.

Vedremo se questa bizzarra innovazione, che affida al giudice delle leggi la responsabilità di esprimersi su un’indagine giudiziaria in corso, resterà affidata alla tradizione orale tipica dell’èra renziana, o si tradurrà in qualcosa di scritto. La sostanza è che i senatori, anche se non verranno più eletti ma nominati dalla Casta, resteranno cittadini più uguali degli altri. Come i maiali di Orwell.

Infatti di questa porcata nessuno vuole assumersi la paternità, come se l’avesse portata la cicogna all’insaputa di tutti.

Grazie al nostro giornale, sappiamo invece che:

a chiederla è stato il Pd, a volerla è stato Renzi in persona e a dire le bugie è stata anche la Boschi. Sarà bene tenerlo a mente in vista del voto al Senato, perché lì la questione tornerà d’attualità e ripartiranno le supercazzole e gli scaricabarile. La principale scusa per giustificare l’ingiustificabile è questa: l’immunità non è un privilegio per gli eletti, ma una garanzia per la carica.

Lo scrive il giurista Michele Ainis sul Corriere della Sera, rammentando che sono immuni anche i giudici costituzionali, che nessuno elegge.

Vero, ma il giudice costituzionale fa solo il giudice costituzionale.

Il nuovo senatore invece è un cittadino eletto per fare il sindaco o il consigliere regionale, dopodiché il Consiglio regionale gli mette pure il pennacchio di senatore: il fatto che sia anzitutto un amministratore locale è dimostrato dal fatto che scade da senatore non al termine della legislatura senatoriale, ma quando chiude il mandato nel suo comune o nella sua regione, o quando la sua giunta cade in anticipo.

Il nuovo Senato non esercita più il potere legislativo (non vota le leggi, a parte quelle costituzionali, ma esprime solo pareri non vincolanti alla Camera): è una sorta di dopolavoro gratuito e part-time per amministratori locali, che non si vede perché mai dovrebbero essere immuni full-time.

O meglio, si vede benissimo: i partiti già pensano di mandarci i loro compagnucci nei guai con la giustizia per salvarli dalla galera. In fondo il Senato è sempre meglio della latitanza”.