A Roma c’era già tutto: gli Obama, la Rete, la globalizzazione

Pubblicato il 10 Ottobre 2012 - 08:19 OLTRE 6 MESI FA
L’Anfiteatro Flavio, il Colosseo: lo “stadio” dell’antica Roma

ROMA – “Embè?”: in un’espressione è condensata tutta l’indifferenza atavica dei romani, la loro incapacità di stupirsi di qualunque cosa succeda, guerre, rivoluzioni, scoperte epocali, rincaro della benzina. Nulla li scuote è il perché lo spiegano gli storici: a Roma era già successo tutto. Duemila anni prima.

Un presidente nero? La globalizzazione? Una lingua per farsi capire in tutto il mondo? Il multiculturalismo? La società multirazziale? La risposta è un gigantesco “embè?”. Roma caput mundi conobbe tutto questo un paio di millenni prima di New York, Londra, Parigi.

Il mondo salutò nel 2008 l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti come una svolta epocale: un nero diventò la persona più potente al mondo. Ma era già successo con Settimio Severo. Veniva dalla Libia e fu imperatore romano dal 193 al 211 dopo Cristo.

Settimio Severo, il primo imperatore di origini africane

Non solo: cosa che difficilmente riuscirà ad Obama, inaugurò una dinastia, quella libico-siriana dei Severi, che imperarono su Roma fino al 235, con Caracalla, Eliogabalo e Alessandro Severo. In particolare il controverso Caracalla fu il primo ad estendere la cittadinanza a tutto l’impero (che all’epoca era quasi tutto il mondo). Caracalla realizzò 1500 anni prima il sogno della rivoluzione francese, “tutti cittadini”, anche se lo fece con lo scopo principale di aumentare le entrate, allargando la platea dei contribuenti: più cittadini, più tributi. Caracalla nel suo breve regno una cosa della quale avremmo sentito molto parlare due millenni più tardi: la svalutazione. Dopo aver aumentato gli “stipendi” degli “statali”, ovvero le paghe dei legionari, svalutò la moneta: diminuì del 25% la quantità di argento coniando l’Antoniniano, che valeva due denari normali.

Dell’impero romano si conosce perlopiù l’hard power: arrivò a conquistare popoli dall’Atlantico al Golfo Persico perché li invase e li sottomesse militarmente. Roma fu dura, spietata e crudele con i suoi nemici. Ma fu capace di esercitare anche il soft power, e di questo si parla nella mostra Roma Caput Mundi, in corso fra Colosseo e Fori imperiali:

Attraverso un centinaio di opere tra sculture, rilievi, mosaici, affreschi, bronzi e monete si narrano i due volti di Roma «caput mundi». Da una parte gli aspetti più brutali del dominio romano: le guerre di rapina, la schiavitù, le sofferenze inferte a intere comunità. Dall’altra, una politica dell’integrazione che non trova riscontri in nessun altro periodo storico: i romani ritenevano irrilevante la purezza della stirpe, concedevano facilmente la cittadinanza, liberavano gli schiavi e i figli di questi ultimi erano considerati cittadini di pieno diritto. Roma diventò pian piano una «città aperta», dove anche un cittadino di umili origini, o straniero, poteva diventare imperatore. Era sabino Numa, etrusco Tarquinio Prisco, forse figlio di una schiava Servio Tullio. Erano spagnoli Traiano, Adriano e Marco Aurelio, africani Settimio Severo e Caracalla, addirittura di origini barbare Massimino il Trace.

L’Impero Romano nella sua massima espansione

Roma – guidata sempre più dall’utilitarismo che dagli ideali: non fu razzista perché non serviva – attuò politiche di integrazione che in realtà non sono riuscite a nessuna delle potenze occidentali moderne. In una città che arrivò a contare un milione di abitanti, convivevano genti di ogni ceto e razza provenienti da tutto l’impero, che nella sua massima espansione dominava su un territorio di 6 milioni di km quadrati e una popolazione di 120 milioni. Riuscivano a capirsi grazie a una lingua che parlava tutto il mondo di allora: il latino. Il latino, insieme al greco, al diritto romano, la rete viaria e la rete degli acquedotti, era il “web”, la “Rete”, l’internet degli antichi romani: era quello che teneva tutto l’impero “connesso”. Era già “globalizzazione“, 20 secoli prima del primo clic.