Tasse, “Monti come Berlusconi”: per Ricolfi la sua è una cultura vecchia

Pubblicato il 17 Aprile 2012 - 11:32 OLTRE 6 MESI FA

Il presidente del Consiglio Mario Monti

ROMA – Credibilità, competenza, rigore: nessuno osa mettere in dubbio le qualità del governo Monti e della sua squadra tagliata a sua immagine, ma, con la pressione fiscale che corre verso l’amaro traguardo del 45% sul reddito delle famiglie, ci si accorge che la ricetta del medico è vecchia, abusata, più un palliativo che una risposta. Una prova? “Salvare il Paese non basta”, la stilettata di Luca Ricolfi sulla Stampa con cui, senza mezzi termini, giudica deficitaria e inconsistente la prova del professor Monti sul punto più qualificante per raddrizzare le sorti del Paese: sulla crescita non fa nulla, peggio, non è diverso da chi lo ha preceduto, che forse è l’accusa che fa più male.

L’autorevole editorialista della Stampa, giornale che definire embedded del governo suonerebbe antipatico ma che di certo non può essere chiamato ostile (l’altro editorialista economico principe Mario Deaglio è il marito del ministro Fornero), delinea sobriamente uno scenario economico nel quale l’indirizzo della crescita semplicemente non è rintracciabile. In un contesto in cui il vero spread che deve allarmare non è con il bund tedesco ma è lo “spread dello spread”, cioè quel gap di fiducia da parte degli investitori internazionali che non riusciamo a colmare (ballano 150 punti) rispetto a Paesi più vicini alle nostre performance economiche (Francia, Spagna, Belgio).

Vecchia è la politica cui si sarebbe rassegnato, usurata è l’impostazione per cui ogni problema lo risolvi aumentando una tassa o inventandone una nuova, antica la mentalità con cui controbatte le obiezioni di “chi osa non allinearsi al clima di venerazione e gratitudine da cui è circondato”. Una requisitoria vera e propria che utilizza il guanto del rispetto dovuto a chi governa senza alternative che però non può prescindere da un’analisi valutativa spietata. La manovra di Tremonti era composta al 50% di nuove tasse, quella di Monti al 90%. Domanda retorica: con un -2% di crescita che si profila raggiungeremo mai l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013?  No, non senza ulteriori manovre, quindi altro giro di vite, altra pietra tombale sulle speranze di liberare energie produttive.

Il capitolo liberalizzazioni, invero modesto, fondato sulle riforme a costo zero, è una soluzione utile per i paesi in via di sviluppo ma produce effetti marginali e insufficienti nei Paesi avanzati. La trappola ideologica dell’articolo 18, su cui anche questo governo è inciampato, nasconde la vera urgenza delle imprese che non è poter licenziare ma abbassare i costi dei produttori di ricchezza. Cioè liberarle dalla zavorra concretissima e per nulla ideologica del carico fiscale, dei prezzi dell’energia, dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, del peso dei contributi sociali. Il ricco e argomentato cahiers de dolèances stilato da Ricolfi suggerisce un cambio di marcia economico (tagliare la spesa pubblica e di nuovo tagliare la spesa pubblica) e un soprassalto intellettuale che non rincorra fantasmi salvifici (a questo governo non c’è alternativa) ma che non si inchini a nessun salvatore designato una volta per tutte e indisponibile al pensiero critico.