Dacca. “Terroristi figli di papà? Come in Italia negli anni ’70”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Luglio 2016 - 12:13 OLTRE 6 MESI FA
Dacca. "Terroristi figli di papà? Come in Italia negli anni '70"

Dacca. “Terroristi figli di papà? Come in Italia negli anni ’70”

ROMA – Dacca. “Terroristi figli di papà? Come in Italia negli anni ’70”. “Il comando di Dacca era composto da ragazzi di famiglie abbienti, usciti da scuole prestigiose, e allora? Di che vi stupite? Anche i terroristi dell’11 settembre non erano poveri. E negli anni 70 nelle file delle Brigate Rosse non erano forse giovani della classe media a condurre la lotta armata in difesa dei poveri?”. E’ chiaro e diretto il paragone di Vali Nasr, studioso americano di origine iraniana, rettore della Scuola di studi politici internazionali della John Hopkins University di Washington, un’autorità sul terrorismo internazionale di matrice islamica.

Una matrice che si manifesta sempre più – e il riferimento religioso ne ha occultato il carattere più autentico – come la sfida più forte, più efficace all’imperialismo occidentale. In sofferenza sul campo militare dove lo Stato Islamico arretra e perde posizioni in Siria e Iraq, Isis sta raccogliendo i frutti della campagna di propaganda e reclutamento in ogni angolo del mondo.

“L’immagine del terrorista di estrazione modesta, emarginato, è calzante in Europa perché da voi il fenomeno del reclutamento è strettamente legato alla mancanza di integrazione degli immigrati. Ma non è così ovunque. L’Isis attrae per il suo sfoggio di forza e potenza. Il suo richiamo non è soltanto religioso: rappresenta la promessa di emancipare il mondo musulmano dall’Occidente. Con la sua ideologia anti imperialista e anti globalizzazione non porta avanti soltanto una guerra culturale ma anti coloniale”. (Vali Nasr intervistato da Alessandro Muglia per il Corriere della Sera)

In due anni di attacchi, Isis e le diverse sigle locali che si affiliano e affluiscono aderendo al messaggio del Califfato, hanno mietuto 1300 vittime. Una internazionale del terrore che nasce, anche, dalle ceneri e dal fallimento di ogni progetto anti-capitalista o contro la globalizzazione selvaggia, delle sinistre tradizionali. Una bancarotta politica che ha dirottato speranze e illusioni anti-imperialiste verso i più “cattivi”, i più forti.

E’ la suggestione affacciata anche dalla filosofa Donatella Di Cesare che denuncia il ritardo, proprio a sinistra, a capire il fenomeno della mondializzazione del terrore come risposta e vendetta al colonialismo occidentale, da cui l’imbarazzo ontologico ed esistenziale: “il nemico del mio nemico, è mio amico?”. Se ne può uscire, come si dice retoricamente, prosciugando i bacini dell’odio, creando condizioni materiali diverse dalle periferie delle città europee alle bidonville asiatiche.

L’Europa deve lavorare molto sulle politiche d’integrazione degli immigrati, deve essere più inclusiva con i musulmani, oltre che rafforzare le misure di sicurezza. Occorre più condivisione tra i servizi di intelligence dei vari Paesi. E anche affrontare il radicalismo dell’Arabia Saudita che fa parte della coalizione anti Isis ma spende miliardi per promuovere la sua versione estremista dell’Islam sunnita per combattere la diffusione di quello sciita. La narrativa dell’Isis, anch’esso sunnita, presenta le élite sciite come alleate dell’Occidente e i sunniti come loro vittime. Una narrativa ancora più forte dopo il disgelo con l’Iran e la revoca delle sanzioni. Bisogna poi esercitare una forte pressione sui Paesi arabi sunniti per obbligarli a smettere di tollerare l’Isis, come nel caso del Bangladesh.  (Vali Nasr intervistato da Alessandro Muglia per il Corriere della Sera)