Diventare capi stanca. Promozione sul lavoro: dopo 3 anni solo stress e fatica

Pubblicato il 17 Luglio 2012 - 09:32 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Essere promossi al lavoro, salire di livello, alla lunga nuoce alla salute: a meno che non succeda spesso, a scadenza diciamo biennale. Di più, sostiene una ricerca condotta in Germania, è tutt’altro che benefico. Dura poco lo stato di grazia, entro trentasei mesi l’esaltante scalata si è già trasformata in un buco nero: ansia e insoddisfazione prendono il sopravvento fino a farci pentire di aver accettato. E i maschi reggono ancor meno lo stress dell’aumento di responsabilità, la fatica supplementare degli orari prolungati, la preoccupazione di dover salire di più. La sconcertante rivelazione ha una sua credibilità scientifica: l’Istituto del lavoro di Bonn ha infatti pubblicato i risultati di ricognizione sul campo dei due ricercatori australiani David Johnston e Wang-Sheng Lee. Oltre mille soggetti sono stati intervistati prima e dopo una promozione: le domande erano focalizzate su undici fattori psicologici e motivazionali decisivi quali “il controllo, lo stress, la sicurezza, la retribuzione percepita e quella reale, le ore di lavoro, la soddisfazione generale, la salute, la vitalità, la serenità e il grado di realizzazione nella vita” (Corriere della Sera).

Alla fine, ascoltate tutte le esperienze e le reazioni fisiche e psichiche che seguono un avanzamento di carriera, la sentenza inaspettata: “Da un punto di vista della tranquillità e delle motivazioni – è la tesi dei due ricercatori – le promozioni sul lavoro rendono le persone, nel medio e lungo periodo, più nervose e meno incentivate a fare bene”. La scia di benessere è breve e il picco di soddisfazione si raggiunge velocemente dopo 9 mesi. Poi è un rapido precipitare verso il rovesciamento della felicità iniziale. Viene da chiedersi quale pianeta abitino i due ricercatori, da che mondo è mondo far carriera è quasi sempre più importante del lavoro in sé. Non è così, nel profondo il nostro fisico è più gratificato da una tranquilla inerzia piuttosto che da scossoni che accorciano la distanza dalla vetta.

E nei periodi di crisi, come quello attuale, la prospettiva di diventare capo spaventa ancor di più. Lo conferma Andrea Castiello D’Antonio, psicologo del lavoro e docente universitari: “Da alcuni mesi ci sono persone che lavorano come quadri e che rinunciano alla promozione a dirigente: preferiscono mantenere l’attuale status per non dover andare incontro a una situazione più stressante e instabile”. Questa tendenza è rilevata anche da Paolo Citterio, presidente dell’Associazione nazionale dei direttori delle risorse umane: “Oggi un dirigente deve operare non avendo a disposizione quasi più né l’auto aziendale né le spese di rappresentanza. Per andare a pranzo con un cliente, in certe imprese, devi pure essere autorizzato”.

Diciamo che il lavoro interessante dei due ricercatori offre un sostegno supplementare a una regola di vita che il semplice buon senso ci ha sempre confermato: ogni novità, ogni nuova esperienza ha un suo decorso naturale che procede dall’euforia alla routine. Vale nel lavoro come in ogni altro ambito. Ma, proprio perché realizzata da studiosi di dinamiche dell’impiego lavorativo, suggerisce altre prove contro la stabilità del posto fisso e a favore della mobilità, del cambiamento sistematico, magari ogni tre anni in media. E’ il miglior antitodo alla dittatura del lavoro gerarchizzato. A parte, ovvio, fare a meno dei capi.