Renzi – Berlusconi. Italicum, cronaca di un accordo e di uno spariglio

di Claudia Fusani
Pubblicato il 13 Novembre 2014 - 08:29 OLTRE 6 MESI FA
Renzi - Berlusconi. Italicum, cronaca di un accordo e di uno spariglio

Renzi e Berlusconi, cronaca di uno spariglio

ROMA – La giornata, quella del 12 novembre 2014, è stata lunga. La settimana movimentata. Ma a questo punto la partita di scopone scientifico messa sul tavolo da Matteo Renzi per sparigliare compagni di tavolo distratti e incerti può dirsi conclusa.

Con il copione già previsto dal premier-cartaro. Che, al di là di qualche scossa secondaria e laterale per affermare la propria esistenza in vita, resta al tavolo in coppia con Berlusconi, riscrive e rinsalda il patto del Nazareno, tiene buona la maggioranza e lascia sfogare la riottosa minoranza dem.

Strappa però a tutti, alleati, partner del momento e minoranze, un cronoprogramma per il breve e il lungo periodo. Nel breve c’è la legge elettorale da approvare entro Natale al Senato e tra gennaio e febbraio la votazione finale alla Camera.

Nelle stesse settimane sempre la Camera dovrà completare il secondo passaggio della riforma costituzionale.

Poi, nell’immediato, c’è anche la legge di Stabilità e il jobs act.

“Se ne facciano una ragione, i parlamentari dovranno lavorare anche il fine settimana”

ha allargato le braccia Matteo Renzi nel faccia a faccia con Bruno Vespa. Tutto questo per proseguire la legislatura fino al 2018. La partita di scopone e il relativo spariglio, che del gioco è la regola aurea, doveva servire proprio a questo.

Riportare le riforme in agenda visto che da agosto non se ne sentiva più parlare.

Rinsaldare il patto del Nazareno pur senza abbandonare del tutto la via dei 5 Stelle che ha dato i suoi primi frutti con Csm e Corte costituzionale.

Dare una mano a Berlusconi a capo di un partito con troppe teste – da Brunetta a Fitto – ma nessun vero leader. Tranne l’anziano Cavaliere.

Renzi aveva avviato la partita mercoledì della scorsa settimana con il settimo faccia a faccia tra i due. Incontro in cui il premier fece l’ennesimo tagliando alla legge elettorale: premio alla lista e non più alla coalizione; soglia al 40 % invece che al 37%; soglia di accesso al 3%. Cambiamenti che non sono dettagli (soprattutto il premio alla lista). E a cui ufficialmente Berlusconi rispose con un non possumus: non tanto per sé, quanto per i suoi. E comunque prese una settimana di tempo.

Sette giorni segnati da una insopportabile vivisezione del patto: regge? Non regge? Regge un po’. Ma no, crolla. Per drammatizzare il tutto si è pensato anche di scomodare il Quirinale con il motivo che il presidente Napolitano è stanco, se ne vuole andare e ha fretta di vedere approvata la legge elettorale. Ma soprattutto, sette giorni in cui negli occhi dei parlamentari si è affacciato il terror vacui dello scioglimento anticipato della legislatura.

La metà degli attuali parlamentari sa che difficilmente non rimetterà piede in Parlamento. Un giro di carte durissimo. Di cui anche i più pessimisti hanno però cominciato a vedere la soluzione lunedì con quella specie di vertice di maggioranza molto prima repubblica dove diciassette persone in rappresentanza di tutti i gruppi di maggioranza hanno firmato contenuti e tempi del patto che il giorno dopo sarebbe stato sottoposto al vecchio Caimano giunto all’ottavo incontro con il giovin Matteo.

Un canovaccio scandito per una settimana da giornali e canali tv all news con il ritmo della spy story. Arrivato ieri sera a conclusione. L’accordo politico tra i due resta forte. Tanto da firmare un comunicato congiunto. Con pretese, almeno lessicali, quasi storiche:

“L’Italia ha bisogno di un sistema istituzionale che garantisca governabilità, un vincitore certo la sera delle elezioni, il superamento del bicameralismo perfetto, e il rispetto tra forze politiche che si confrontino in modo civile, senza odio di parte”.

Sono le ragioni per cui tutto è cominciato il 18 gennaio scorso, quando Berlusconi mise piede al Nazareno, in casa del Pd.

“L’impianto di questo accordo – si legge – è oggi più solido che mai, rafforzato dalla comune volontà di alzare al 40% la soglia dell’Italicum e dall’introduzione delle preferenze dopo il capolista bloccato nei 100 collegi”.

Certo, sopravvivono alcune “differenze” (“soglia minima d’ingresso e premio di maggioranza alla lista anzichè alla coalizione”), che

“non impediscono però di considerare positivo il lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in Aula al Senato dell’Italicum entro il mese di dicembre e della riforma costituzionale entro gennaio 2015”.

Nero su bianco anche l’impegno a far durare la legislatura fino al 2018.

Le “differenze” hanno tutta l’aria di essere già state superate ma ancora taciute perché Berlusconi deve giocare doppio ruolo: tosto in casa con i suoi, soprattutto con Raffaele Fitto andato in fissa sul fatto che Forza Italia non può obbedire ai diktat di Renzi; consensuale con Renzi di cui, come dice D’Alema, il Caimano sarebbe infatuato (“innamorato”, cit).

Le differenze saranno quindi l’alibi per lasciare il simulacro di un’arma in mano a Berlusconi. Ma si sa già come andrà a finire: premio alla lista col 40%; soglia di accesso non al 3 ma al 4 per cento. Lo sanno già anche Alfano, Quagliariello e i centristi che dovrebbero finalmente unirsi in un’unica forza politica. Il resto lo si vedrà strada facendo.

Qualche altro tagliando sarà necessario.

I problemi più seri arrivano intanto dalla minoranza dem. Che, finito il vertice del Nazareno, letto il comunicato, si ritira in conclave e decide di non partecipare alla direzione del partito dove Renzi va per aggiornare sullo stato dell’arte. Alla minoranza non piace questa nuova legge elettorale: troppo pochi i collegi; ok le preferenze ma non i capilista bloccati. Incontentabili. Ma devono pur far qualcosa per avere anche loro un posto separato al tavolo del cartaro Renzi. La verità è che nessuno vuole lasciare il tavolo della legislatura. In attesa del prossimo spariglio.