Mistero Orlandi. Da Marco Fassoni Accetti nuovi scoop: rivelazioni o bufale?

a cura di Pino Nicotri
Pubblicato il 27 Ottobre 2013 - 08:06 OLTRE 6 MESI FA
Pietro Orlandi con una foto della sorella

Pietro Orlandi con una foto della sorella

ROMA – Il mistero di Emanuela Orlandi stimola gli scoop di Fabrizio Peronaci del Corrier della Sera, che da qualche giorno sembra molto prolifico. Lo scoop del sabato mostra una strana assonanza con un altro scoop, che costò cinque mesi i galera ad un giornalista a un direttore, come ha raccontato un anno e mezzo fa il Fatto definendo la storia “una bufala”.

Peronaci scrive il 26 ottobre 2013:

“Uno degli episodi – tra l’infinità di bluff e depistaggi legati alla scomparsa delle due ragazze (avvenuta il 7 maggio e il 22 giugno 1983) – accadde il 17 ottobre dello stesso anno. Tale Dragan del «Fronte Turkesh» , in una lettera all’Ansa, scrisse che un certo Aliz aveva ucciso Emanuela e che lui stava per partire per la Tunisia con Mirella Gregori, per evitarle la stessa sorte”. “Il testo conteneva un altro passo inquietante: «Perché non interrogate giocatore di Lazio Spinozzi?». Lui, il terzino, reagì indignato, convocando una conferenza stampa per gridare la sua totale estraneità. Come mai fu chiamato in causa? Alla luce dello scenario descritto da Marco Fassoni Accetti

Il rebus, oggi, pare finalmente svelato. Secondo Peronaci,

in quei mesi, i due gruppi che si fronteggiarono a colpi di comunicati erano due «nuclei» contrapposti, a sfondo spionistico. Il primo, ostile alla linea anticomunista di papa Wojtyla e alla gestione dello Ior di Marcinkus, sarebbe nato su iniziativa di prelati francesi e lituani, che avrebbero coinvolto il giovane Accetti in dossieraggi contro ecclesiastici «nemici» e anche nel doppio rapimento (che sarebbe dovuto durare pochi giorni).

Qui Peronaci entra nel campo minato:

“In quest’ottica, con il comunicato del 17 ottobre, la «controparte» voleva far capire che sapeva tutto: Spinozzi serviva ad «alludere» a Bruno Giordano, il centravanti della Lazio nonché ex marito di Sabrina Minardi, nel frattempo diventata amante del boss della Magliana «Renatino» De Pedis, il quale ebbe un ruolo (come confermano sia la donna sia Accetti) nel prelevamento di Emanuela in corso Rinascimento. Il «Turkesh», dunque, minacciava i veri rapitori. Circostanza che, dal testo, risulta evidente, come capita per ogni anagramma, ma solo dopo che lo si è risolto: «Aliz», stava per «Lazio» (mancante una «o»), quindi per Giordano-Minardi, cioè De Pedis. Chiarita una parte, resta da decrittare il resto, e non è poco. L’omicidio di Emanuela era un bluff? La partenza di Mirella è stata reale? Le ragazze sono ancora vive, forse all’estero, come non esclude il superteste indagato?”.

Scriveva Maurizio Martucci sul Fatto il 30 aprile 2012:

“Anno Domini 1983, spy story vaticana, tra trame internazionali, schegge di calcio e servizi segreti deviati. E’ la Roma diPaulo Roberto Falcao, la Lazio di Bruno Giordano, neocampioni d’Italia contro neopromossi in Serie A. Nel nulla, nella città eterna, sparisce Emanuela Orlandi, 15 anni 29 anni fa. Uccisa, rapita, pedina di scambio per liberare l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II. Mistero, ombre, reticenze e omertà. Nessuno l’ha ancora capito”.

“Trent’anni, in Italia, si danno a chi ha commesso il più efferato dei delitti, è il massimo della pena – scrive Pietro Orlandi nel libro shock ‘Mia sorella Emanuela’ di Fabrizio Peronaci (EdizioniAnordest) – Io alla scadenza dei trent’anni senza giustizia, non ci voglio arrivare”. Perché perdere un familiare in questo modo, pesa più di una condanna all’ergastolo”.

Prosegue Martucci:

“Per smuovere l’inchiesta, fugando l’oblio, Pietro racconta i dettagli di un’inedita prova. E’ ‘la pista di Bolzano’, la conferma della sorella in vita subito dopo il rapimento. Succede che Emanuela è tifosissima della Roma. E che la mamma, prima della scomparsa, gli [si dovrebbe dire le intreccia, ma nell’Italia che Mario Monti vuole cambiare queste sono quisquilie] intreccia due nastrini di colore giallo e rosso per farne una fascetta, da collo e capelli”.

Segue un episodio che è entrato in un filone di inchiesta sul caso Orlandi daanni archiviati con l’accertata estraneita’ di quanti coinvolti.

“Il 15 Agosto 1983 presso la casa di campagna in cui abito – dichiarò una supertestimone altoatesina di Terlano e riferisce il Fatto– si fermò una macchina targata Roma. Scesero un uomo e una ragazza. Indossava un paio di jeans, una camicetta e un girocollo in materiale metallico dai colori sbiaditi”. Per padre Federico Lombardi, portavoce diPapa Ratzinger, l’indizio del girocollo romanista è ‘eccessivo’ per provare l’esistenza di Emanuela, mentre per l’intramontabile Pietro si tratta di un ‘elemento decisivo’ ai fini investigativi. Dice: “Se dopo tanti anni non si è chiarito il mistero è perché non c’è mai stata la volontà di far conoscere la verità”.

Conclude Martucci:

“Beffe, depistaggi, intrecci criminali. L’arroganza di poteri occulti su una ragazzina priva di libertà. E sullo sfondo, il derby preda di sciacalli e mitomani. Lancio Ansa nella settimana di Lazio-Roma, 17 Ottobre 1983, ore 20:26. “Nell’ultima parte della lettera l’autore fa cenno al calciatore della LazioArcadio Spinozzi, che avrebbe conosciuto sia Emanuela che Aliz e che saprebbe molte cose riguardo la vicenda”. Aliz, una sorta di anagramma orientalizzato, stava per Lazio, la squadra di Giordano, la cui ex moglie era l’amante di Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, ancora oggi sepolto (chissà ancora per quanto) nella Basilica di Sant’Apollinare, dove Emanuela svanì. La lettera del derby? Una rivendicazione del fantomatico Fronte Turkesh.

“Una bufala, l’ennesima, che costerà – come riporta Spinozzi, difensore arcigno e uomo leale, nel suo ‘Una vita da Lazio’ (Castelvecchi Editore) – la condanna a cinque mesi di reclusione” di tre giornalisti per “mancato accertamento della verità delle informazioni contenute nella notizia e per l’insussistenza, in essa, dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto”.