Le “pagelle” di Geronzi ai potenti d’Italia: Monti, Berlusconi, Della Valle…

Pubblicato il 30 Novembre 2012 - 06:30 OLTRE 6 MESI FA
“Confiteor”: Massimo Mucchetti intervista Cesare Geronzi

ROMA –  Il banchiere Cesare Geronzi si racconta in un libro-intervista a Massimo Mucchetti: il risultato è “Confiteor” (Feltrinelli, pp. 364, 18 euro). Parlando di sé, parla di 40 anni di storia italiana, di potere e di potenti. Una galleria di potenti italiani, a ognuno dei quali Geronzi dà un suo giudizio, le sue “pagelle”:

Mario Monti: “Un perenne Cincinnato. […] Ha riformato le pensioni, ma non l’alta burocrazia, non ha inciso sulle protezioni dei centri di potere della finanza. Non propone una organica politica industriale”.

Silvio Berlusconi: “Colazioni interminabili, battute, aneddoti, grandi scenari. Berlusconi voleva affascinare […] se ne andò con l’aria compiaciuta del grande venditore sicuro di aver incantato il proprio interlocutore […] Incantato no, ma colpito sì […] Talvolta è un grande bugiardo? Togliamo l’aggettivo grande”.

Mario Draghi: “Tanto di cappello […] ritengo che a Francoforte stia dando il meglio di sé. Straordinario. Non sbaglia un colpo. […] (non i tecnici al governo, ma lui) ha evitato scenari nefasti per l’Europa. Ed è lui che merita la riconoscenza del Paese e dell’intera Eurozona. […] Come Governatore era stato bravo […] Come direttore generale del Tesoro? Su quel periodo possiamo nutrire qualche perplessità”.

Gianni Letta: “Uomo di valore, che viene diffusamente stimato, che rassicura, che s’impegna a dare una mano, ma che non sempre riesce a mantenere le promesse”.

Giovanni Bazoli: “L’altro banchiere di Sistema (insieme a Geronzi, ndr)”

Giulio Tremonti: “Un uomo molto capace, capace di tutto, e perciò inadatto ad assumere incarichi istituzionali come i fatti, purtroppo, hanno dimostrato […] è considerato da alcuni un “genio”. Io lo ritengo colto, assai competente nel campo suo, il diritto tributario. In campo economico, invece, ha proiezioni palingenetiche, a volte immaginifiche o millenaristiche: grandi discorsi, poveri o nulli i risultati […] Con Tremonti ho avuto relazioni sempre formalmente corrette e apparentemente leali, a volte anche cordiali. Ma che cosa potesse accadere una volta che gli avevo voltato le spalle, questo non glielo so proprio dire”.

Diego Della Valle: “Cesare Romiti chiamò Della Valle lo Scarparo […] Si è proposto come l’alfiere del Nuovo Che Avanza. Da scrivere con le maiuscole, mi raccomando. Ritiene di avere titolo per parlare, anzi per dettar legge, più di altre persone […] Della Valle ha definito me e il professor Giovanni Bazoli gli “arzilli vecchietti”. Stupito, chiesi a Nagel se poteva farlo ragionare, riportarlo nella civiltà […] Ne parlai anche con Bazoli […] Lo trovai disgustato da tanta protervia”.

Fabrizio Palenzona: “Capace, abile, il dottor Palenzona non è mai un comprimario. È un uomo che esercita vaste influenze. Tolga oggi Palenzona da Mediobanca e vedrà che resta poco […] È un uomo che, un po’ come me, non viene da magnanimi lombi. Si è fatto da sé, lavorando. È serio nelle relazioni d’affari e ha l’attitudine di vedere lontano. Per questo dovrei dire che forse gli voglio bene…”

Paolo Scaroni: “Ha grandi capacità e grandissime relazioni ad ampio spettro. Formulo la previsione che egli sarà, al verificarsi di un certo contesto postelettorale, il futuro ministro degli Esteri, sulle tracce delle visioni di Enrico Mattei…”

Gabriele Galateri: “Un piumino da cipria, un presidente di campanello”.

Alberto Nagel e Renato Pagliaro: “Inadeguati”

Paolo Mieli: “Un’eclatante delusione”.

Eugenio Scalfari: “Non ricordo di aver mai visto Scalfari con il taccuino in mano. Doveva avere una gran memoria”.

Enrico Cuccia: “È stato un grande, e tuttavia la cultura di Mediobanca, nel 1996, cominciava a non cogliere più la modernità […] Vogliamo dire che, nel suo giudizio su Berlusconi, Cuccia rivelava la radice azionista della sua cultura?”

Guido Carli: “Fece della Banca d’Italia una moderna banca centrale”.

Giulio Andreotti: “Il Presidente Andreotti è una gran persona”.

Francesco Cossiga: “Si poteva permettere di dire tutto e, talvolta, il contrario di tutto. La sua levatura morale e la sua storia gli davano un tale privilegio”.