
DAMASCO – E’ scattata lunedì sera la tanto attesa tregua in Siria. L’hanno annunciato le stesse forze armate siriane, che si fermeranno dalle 19 di lunedì (le 18 ora italiana) per sette giorni, fino alla mezzanotte del 18 settembre. E si riservano “il diritto di rispondere in maniera decisa contro qualsiasi gruppo armato che violi il cessate il fuoco“.
Ad Aleppo, intanto, le bombe sono continuate ad esplodere fino a poco prima della tregua: qui sono morte domenica 45 persone, altre 60 hanno perso la vita ad Idlib, nell’attentato ad un mercato. Ma per l’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, questa potrebbe essere la volta buona per permettere proprio ai convogli delle Nazioni Unite con cibo e medicinali di raggiungere la popolazione.
Le violenze in corso in Siria dal 2011 hanno finora ucciso circa mezzo milione di persone e, secondo le stime dell’Onu, hanno costretto undici milioni di civili – più della metà della popolazione – ad abbandonare le proprie case.
L’intesa tra Stati Uniti e Russia che ha portato alla tregua prevede la fine dei raid ma non sulle formazioni jihadiste, ovvero Isis e Al Qaeda, in Siria nota come Jabah al Fatah al Sham (ex Al Nusra). L’accordo tra Mosca e Washington è stato accettato dal regime di Bashar al Assad e dall’opposizione moderata armata, i ribelli del Free Syrian Army. Non ci sta, invece, il gruppo Ahrar al-Sham, vicino a Turchia e Arabia Saudita, che non è intenzionato a rispettare il cessate il fuoco.
Sul terreno le forze curde che si oppongono all’intervento militare turco nel nord del Paese, hanno annunciato che intendono rispettare la tregua. L’Iran e la Turchia avevano assicurato nei giorni scorsi che intendono fare altrettanto. Diverse sigle dell’insurrezione siriana hanno accettato in principio l’accordo ma si erano dette scettiche, mentre altri gruppi vicini alle frange più estreme hanno respinto la tregua.
Nelle ore che hanno scandito l’inizio della tregua però la guerra ha continuato a mietere vittime. Secondo diverse fonti dal terreno, bombardamenti aerei si sono registrati su tutto l’asse nord-sud dei combattimenti: dalla regione meridionale di Daraa fino ad Aleppo, nel nord, passando per l’area di Damasco, Homs, Hama e Idlib.
Media controllati dal governo di Damasco hanno denunciato colpi di mortaio sparati da insorti (“terroristi”) contro la parte di Aleppo in mano lealista. Il presidente Assad si era recato di prima mattina a Daraya, il sobborgo sin dal 2011 roccaforte della ribellione anti-governativa e per questo da anni sotto assedio da parte delle forze lealiste. Caduto in mano governativa poche settimane fa, Daraya è ormai una città fantasma. Tra le macerie e la desolazione il raìs si è mostrato agli occhi di fotografi e telecamere filo-regime, celebrando l’inizio della festa del Sacrificio con una preghiera in una sala spoglia della moschea di Daraya. Il regime “intende riconquistare ogni parte del territorio (siriano) in mano ai terroristi”, ha detto Assad, inviando “un messaggio a chi dall’estero ha complottato per far cadere la Siria e il suo modello di convivenza”.
Nel pomeriggio il vice ministro degli esteri russo Mikhail Bogdanov ha poi affermato che i colloqui tra regime e opposizione – di fatto mai iniziati – potranno riprendere all’inizio di ottobre. Sempre se la tregua proseguirà. Secondo il comando militare russo, con la sospensione delle operazioni entrerà anche in funzione il meccanismo di coordinamento tra Mosca e Washington per colpire i gruppi qaedisti e jihadisti, tra cui l’Isis.