TRIPOLI, 28 AGO – Una domenica tranquilla quella di Tripoli, la prima dopo mesi, con le famiglie della capitale che in massa si sono riversate prima nelle strade, ripulite da cecchini e milizia armata del regime, poi hanno preso d’assalto i luoghi simbolo del regime.
Sui prati del compound di Muammar Gheddafi e’ un tripudio di belle ragazze e bambini: volti sorridenti, soddisfatti, per nulla impauriti dalle raffiche di Ak47 e mitragliatrici pesanti esplose dai Tuwar, imponenti e orgogliosi a bordo dei loro pick up da battaglia.
Per entrare si deve fare la coda, centinaia le auto in fila in quello che fino a qualche giorno fa era uno dei luoghi piu’ temuti della capitale, tanto che molti evitavano di passarci davanti, e correre il rischio di finire in carcere per uno starnuto di troppo.
Nei tunnel sotterranei, dai quali il rais a bordo della sua auto da golf arrivava fino al Rixos e a piazza Verde, l’odore di bruciato e’ insopportabile, e il fumo e’ peggio di un lacrimogeno. Ovunque spuntano libri, molti in italiano, foto di famiglia e di donne, con il Gheddafi dei tempi d’oro, sorridente e contento.
La caccia al souvenir e’ selvaggia: gli scatti che ritraggono il leader scatenano quasi delle risse, sedate dall’intervento dei ribelli, che poi le espongono perche’ i giornalisti possano consegnarle alla storia.
Nel bunker sotterraneo resistono ancora i divani circolari, gli scaffali destinati al Libro Verde e a tante pubblicazioni, a riviste straniere. All’esterno c’e’ chi prende quello che puo’: sui furgoni si caricano cuscini, sedie mentre le anziane velate preferiscono i piatti e quello che rimane della cristalleria del regime. “Ma guarda questo Gheddafi, noi dovevamo fare la fame, lui invece no. Visto che casa?”, ci sussurra un signore.
Sotto l’ombra degli alberi, sui prati all’inglese, giovani coppie con i propri neonati si fanno immortalare sorridenti. E’ un crescendo, tutti vogliono strappare un pezzo di quella storia, tutti vogliono un souvenir, qualunque esso sia. Si salvano solo i grandi lampadari della tenda in cui il rais era solito ricevere i rappresentanti delle tribu’: sono troppo alti, chi ha provato a portarseli a casa li ha ridotti in frantumi.
La gita al compound finisce presto: si avvicina la fine del Ramadan, tutti non vedono l’ora di mangiare e bere. Lungo le strade c’e’ traffico, ai check point si formano vere e proprie code, roba d’altri tempi. Un gruppo di Shabab prende d’assalto un muro a colpi di vernice: “No more blood”, basta sangue, scrivono sulla bandiera tricolore ribelle.
Finalmente vedono davanti a loro un futuro, un futuro normale come quello dei loro coetanei che non vivono in Libia. Scende il sole, tutti pregano perche’ domani sorga un nuovo paese libero.